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#psicologia #criminologia
Circa le 3 di notte del 13 marzo 1964. Quartiere alla periferia di New York. Catherine Susan Genovese, chiamata Kitty, una ragazza di 29 anni, scende dalla sua auto per recarsi a casa. Kitty è una bella ragazza piena di energia, con un buon lavoro e una bella vita affettiva - e piani per il futuro sia dell’uno che dell’altra. In realtà le rimangono solo poco più di trenta minuti di vita.
Un uomo di nome Winston Moseley l’aggredisce, lacerandola con un coltello seghettato. Kitty urla, persone si affacciano alle finestre. Eppure, nessuno interviene. L’assassino impiega mezz’ora per ucciderla. A un certo punto, si interrompe e si allontana. Kitty si trascina e trova rifugio nell’androne di un palazzo. Chiede ancora aiuto ma ancora nessuno interviene. Moseley la ritrova e riprende a massacrarla, sempre nella più totale indifferenza dei testimoni. Sulla fine del delitto le versioni divergono. Secondo una versione, Kitty muore e quindi Moseley la violenta. Secondo un’altra versione Moseley la violenta, la lascia sull’asfalto e Kitty muore nell’ambulanza che l’ha soccorsa.
Il fatto che sorprende è che in 30 e oltre minuti nessuno - nessuno - tra chi assiste al massacro interviene. Due psicologi, Bibb Latané e John Darley, nel 1968 decidono di approfondire con un esperimento. Chiamano degli studenti universitari, dicendo loro di compilare un questionario. Funziona in sintesi così. Lo studente viene accolto da una segretaria che gli consegna il questionario e gli indica la stanza accanto dove recarsi per compilarlo. In alcuni casi lo studente è da solo, in altri casi il numero degli studenti aumenta gradualmente. A un certo punto, dalla stanza dove si trova la segretaria comincia a provenire del fumo. Allora succede un fatto interessante. In generale hanno visto che se la persona che compila il questionario è da sola, interviene per soccorrere la ragazza nell’altra stanza mentre, più persone sono presenti, meno intervengono, limitandosi a guardare gli altri, ovvero aspettandosi che sia qualcuno tra di loro a intervenire. Da qui gli psicologi elaborano il concetto di “effetto spettatore”, chiamato anche “diffusione della responsabilità”. Ovvero: più persone assistono a un fatto in cui qualcuno è in pericolo, meno tendono a intervenire, pensando che saranno altri a farlo.
Sarebbe forse il caso di prendere sul serio il concetto di “prendersi la responsabilità delle proprie azioni”, lasciando che gli altri si prendano la responsabilità delle loro.

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