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Vero Ma Strano
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Quando James Cook sbarcò a Tahiti rimase impressionato dalla quantità di tatuaggi esibiti con fierezza dalla popolazione autoctona. Gli eleganti disegni erano distribuiti su tutto il corpo, in particolare sul volto. Il moko, il tatuaggio sul viso, rappresentava una sorta di biglietto da visita dell'individuo: le linee che componevano il complesso disegno facciale erano diverse da persona a persona e ne raccontavano la storia, i traguardi e il rango. Cook e i suoi non compresero la natura di questi tatuaggi e li considerarono una mera questione estetica. Una cosa li incuriosiva: i maori conservavano le teste essiccate dei nemici uccisi in battaglia. Il fatto li impressionò non poco, tanto che un naturalista dell'equipaggio decise di farsene consegnare una, da esporre in un museo. Negli anni successivi i marinai inglesi si appassionarono non poco a questi macabri trofei, ottenendoli in cambio di armi da fuoco. Non c'era nemmeno il problema che le teste terminassero perché i Maori, naturalmente bellicosi, ne facevano grandi scorte. Questo commercio assunse proporzioni tali da preoccupare la real Inghilterra (probabilmente perché, rifornendo gli indigeni di armi, si temevano rappresaglie) e lo dichiarò illegale nella prima metà del XIX secolo.
Con il tempo gli studiosi analizzarono le teste, formulando una sorta di vocabolario contenente le linee guida per l'interpretazione dei disegni. Ma qualcosa non quadrava: alcune teste avevano tatuaggi pregni di significati, altre invece mostravano segni semplici, privi di contenuti. Fu così che emerse la cruda verità: il redditizio commercio aveva spinto i Maori ad ammazzare molto sportivamente chiunque capitasse a tiro (prima popolazioni avverse ma si suppone che gli attacchi fossero rivolti anche ad ignari vicini di casa) per poterne rivendere la testa in fretta. Chiaramente, per comodità, non venivano tracciati disegni complessi ma semplici ghirigori che però misero nel sacco moltissimi marinai.
Fonte: "Altri naufragi"- V. Dominici
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