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La cosiddetta “carne sintetica”, che tanto fa storcere il naso a molti, altro non è che un prodotto alimentare realizzato utilizzando cellule animali.
Il processo prevede l’estrazione delle cellule staminali e quindi la proliferazione in una soluzione nutritiva all’interno di un bioreattore; le fibre muscolari così ottenute vengono utilizzate per produzione finale della carne.
Definirla "sintetica", in realtà, è sbagliato: è un termine atto solo a suscitare un’ingiustificata repulsione verso tale prodotto. In realtà, come spiegato sopra, si tratta di carne coltivata derivante da cellule vere e proprie.
La carne prodotta "in vitro" ad oggi è legale negli Stati Uniti e a Singapore.
Il vantaggio è che da una sola cellula si possono ottenere circa 10mila chili di carne in poche settimane.

Vietarne la produzione ed il consumo significa non solo porre dei limiti alla libertà di chi vuole percorrere strade alternative, ma soprattutto non riuscire a vedere oltre il proprio naso.
Siamo infatti ormai 8 miliardi di persone ed il numero è destinato ad aumentare costantemente ed inesorabilmente.
La produzione ed il consumo di alimenti ben presto diventerà insostenibile, se non si trovano soluzioni alternative.
Gli allevamenti intensivi non sono la scelta corretta: non sono ecosostenibili e comportano un rischio tangibile di sviluppo di antibiotico-resistenza che, a sua volta, costituisce un problema sanitario sempre più dilagante e oltremodo preoccupante.
La carne "in vitro", invece, non lede il benessere animale, permette una sostenibilità ambientale ed una sicurezza alimentare.

In conclusione, la carne in vitro, come anche le fonti proteiche che possono derivare dagli insetti, devono essere viste piuttosto come un’opportunità e non come un problema da vietare a priori.
Rinunciarci o vietarla in nome di un principio o di una ideologia retrograda è da persone ottuse e non lungimiranti.

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